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Roberto Marino

Il pozzo di Minicuccio

Domenico Sinna da giovane, anzi da ragazzo, contro la volontà del padre, era partito per l’America in compagnia dello zio Giuseppe.

Giovane di bell’aspetto, volitivo, ma anche estroverso, capace di scrivere una lettera abbastanza leggibile, in America aveva trovato lavoro in una tessitoria, dove, per il suo garbato modo di comportarsi, fu presto ben voluto dai suoi compagni e dal caporeparto.

Avrebbe sicuramente realizzato il suo sogno di diventare cittadino americano, se, dopo alcuni anni, non gli fosse giunta la notizia della morte del padre.

Costretto dalla necessità, ritornò al suo paese in vista del mare di Acciaroli, ma con l'intenzione di trattenersi soltanto per il tempo necessario a provvedere alla vendita di due pezzi di terra: la casa no. Non l’avrebbe venduta: chissà se un giorno non gli sarebbe venuta la voglia di ritornare in vista del suo mare.

Per ora sarebbe tornato al suo lavoro di tessitore a New York.

Purtroppo, però, "l’uomo propone e Dio dispone", anche se questa volta a disporre non fu una divinità, ma una creatura umana dallo sguardo fascinoso e dal visino amorosamente dolce, Luisella, la figlia del macellaio, meglio conosciuto come "sanaporcelli", ossia sterilizzatore di maialetti.

Pochi mesi di fidanzamento dovuti al lutto e poi un matrimonio piuttosto agiato per le discrete condizioni economiche sia dello sposo che della sposa.

L’Americano, come molti lo chiamavano, oltre alla casa, come abbiamo detto, possedeva due fondi coltivati e una discreta somma di danaro, fatta trasferire dall’avvocato Cardone da una banca americana ad una italiana.

I due sposi erano felici e non nascondevano questa loro felicità quando la domenica andavano in chiesa, lei con la splendida spilla sul petto e la lunga collana che le scendeva fino all’ultimo bottone del corpetto, lui con l’orologio d’oro che una catenella anch’essa d’oro fermava al taschino del vistoso panciotto giallo e rosso, comprato a New York.

Domenico era una persona simpatica e sapeva raccontare brevi barzellette, curiosi detti e proverbi da lui definiti "sentenze", tra le quali la più nota e diffusa era: "Non pisciare vicino casa tua se non vuoi sentirne la puzza".

Forse, anche in omaggio a questa "sentenza", Domenico Sinna, Minicuccio per la sua "fata", trattava con molto garbo la gente del vicinato e non soltanto del vicinato.

Si può dire che in paese erano in molti a volergli bene, anche se non mancava chi, vedendoli camminare mano nella mano e, più scandalosamente, l’uno con una mano intorno alla vita dell’altro, borbottava: "Ma chi credono di essere quei due, se non sono stati capaci nemmeno di fare un figlio?".

Comunque tutto andò bene, anzi benissimo per oltre due anni, poi...

Ogni anno, la sera dell’8 settembre, appena buio, i contadini del Cilento, non so se è resistita quest'antica tradizione, accendevano nei propri campi dei falò in onore della nascita di Maria Madre di Dio.

Era uno spettacolo molto bello quell’immensa luminaria che punteggiava vallate e colline, quasi a competere con la luminosità del cielo stellato.

Anche Minicuccio e Luisella, allegri, come per gioco, avevano ammucchiato sterpi da ardere ed ora assistevano a quel festoso divampare, attizzando di tanto in tanto qualche ramo che sembrava rifiutarsi a concorrere allo splendore della "focaia".

I due attesero che le fiamme si spegnessero, felici di quanto avevano fatto e di quanto avevano visto, rientrarono in casa, cenarono e andarono a dormire.

Era circa mezzanotte quando si sentì bussare energicamente alla porta: "Alzatevi, Presto. Il fuoco sta distruggendo la vostra Macchiarella."

A dare l'allarme era un vicino il quale, poi, corse ad avvisare, chiamandoli a squarciagola uno per uno, dalla strada, i vari compaesani perché accorsero ad aiutare a spegnere l’incendio della Macchiarella.

Purtroppo, malgrado l’impegno di parecchie persone, i danni dell’incendio furono gravi: molte viti andarono distrutte e il prodotto di numerose piante di ulivo rimase compromesso per anni.

Luisella piangeva, ma Minicuccio le si avvicinò e le ordinò di tornare subito a casa e non farsi vedere piangere da nessuno.

A quell’inaspettato ordine, quasi un rimprovero, Luisella ritornò a casa a sfogare tutto il suo pianto, dapprima vicino al focolare, perché il marito tornando potesse lavarsi con l’acqua calda, poi a letto.

"Non ti preoccupare, i danni non sono stati, poi, tanti. Non temere: non moriremo di fame!", aggiunse Minicuccio sporco di cenere, con voce e modi ben diversi da quelli usati qualche ora prima.

Il resto della settimana trascorse come sempre: buone maniere, qualche carezza.

"E’ stato un momento di rabbia, uno di quei momenti in cui si perde il lume della ragione. Tutto da perdonare", pensava Luisella.

Mancavano pochi giorni al Natale. Luisella indossò il vestito più bello, attaccò la spilla d’oro sul corpetto ricamato e infilò la lunga collana al collo, pronta per andare in chiesa.

Quando il marito, da qualche giorno molto nervoso, la vide così agghindata, con un mugugno di rabbia le impose di togliersi la spilla e la collana d’oro. Avrebbe fatto bene anche a togliersi quel vestito e a indossarne un altro meno bello.

"Perché?" chiese Luisella.

Per tutta risposta Minicuccio le appioppò uno schiaffo accompagnato da una pesante e irriverente bestemmia.

Da allora la vita tra l’Americano e Luisella mutò completamente.

Tra la dispiaciuta meraviglia del vicinato, nei mesi successivi Luisella fu vista sempre triste, poco socievole e a volte con un largo scialle in testa nel vano tentativo di nascondere un occhio nero.

Alla fine la poveretta abbandonò la casa del marito e fece ritorno alla casa paterna.

L’Americano cercò attraverso messaggeri di convincerla a ritornare con lui, prima con le buone, e, al rifiuto di Luisella, con le minacce.

Fu allora che intervenne il suocero, il quale, vedendo il genero gironzolare nei pressi della sua casa, lo prese per il bavero della giacca e, senza mezzi termini, gli disse che se non avesse smesso di insultare sua figlia lo avrebbe scannato come un capretto e appeso a un gancio della sua macelleria.

E’ però da credere che fu più per l’abbandono della sua "fata", come continuava a chiamarla, che per le minacce del suocero che, Minicuccio scomparve dal paese.

Uno, due...dieci giorni!

"Dove sarà andato?" si chiedeva la gente. "Possibile che sia partito per l’America senza salutare nessuno? Che farabutto!"

Soltanto qualche mese dopo, Michele Guerriero, passando nei pressi del pozzo di Domenico Sinna, avvertì un odore nauseabondo: un sospetto terribile gli attraversò la mente. Si affacciò al pozzo e vide qualche cosa galleggiare sull’acqua.

Corse ad avvertire i Carabinieri. Il sospetto non tardò a farsi realtà: nel pozzo giaceva il corpo dell’Americano, già in stato di decomposizione.

"Si è suicidato o è stato ucciso e nascosto nel pozzo?"

Il sospetto durò poco, perché sul tavolo della cucina di Minicuccio fu trovata una lettera che io fortuitamente ebbi modo di leggere dopo alcuni anni. Una lettera che trascriverò correggendone in parte il linguaggio e la grammatica, ma lasciandone immutato ogni particolare.

"Cara Luisella, tu sicuramente pensi che io abbia smesso di volerti bene, di amarti. Ti sarà difficile credermi, ma non è vero. Le nostre disgrazie ebbero inizio nel marzo dello scorso anno, quando, senza che ne sia stata spiegata la causa, abortisti. Ad agosto ci morì il porcellino, a settembre andò in fumo la "Macchiarella". In quell’occasione ti parlai di "malocchio". Tu mi irridesti e mi dicesti che il malocchio non esiste.

Ricordi il giorno in cui ti diedi per la prima volta uno schiaffo? Fu qualche domenica prima del Natale dello scorso anno.

Il giorno prima ero stato dall’avvocato Cardone per ritirare un poco di danaro: volevo regalarti: un vestito nuovo come avevo fatto negli anni scorsi. L’avvocato mi guardò sorpreso: "Ma è possibile che non sapete?"

"E cosa dovrei sapere?"

L’avvocato scosse ripetutamente la testa, come chi sta per annunciare una disgrazia. "Non sapete che la Banca Romana, alla quale era stato affidato il vostro denaro, è fallita?".

"E questo che significa?"

"Significa che avete perduto tutto il vostro denaro. C’è chi pensa che ne riavrete almeno una parte, ma è come sperare la neve nel mese di agosto."

Ora credi o ancora non credi al malocchio? Noi per oltre un anno siamo vissuti nel suo malefico influsso, il quale è mille volte più distruttivo di una schioppettata. Per il suo effetto io non avevo più la possibilità di farti un regalo in occasione delle feste natalizie, non avevo più la possibilità di assicurarti una serena esistenza, come ti avevo promesso davanti a Dio sposandoti. Per sopravvivere sarei dovuto andare a lavorare la terra dagli altri, e tu raccogliere le olive di altri proprietari.

Eravamo ridotti al bisogno, per non dire alla miseria. L’unica mia ricchezza eri tu. Ti picchiavo perché eri divenuta l’immagine del mio fallimento, la ragione della mia sofferenza.

Eri ancora tutto il mio amore ma anche la figura della mia disperazione. Ho sempre nascosto la mia pena, le mie lacrime, perché me ne vergognavo. Ti avevo chiesto di venirtene con me in America, ma tu ti sei sempre rifiutata di partire con una "bestia". Partirmene da solo? Nemmeno a pensarci. Perciò non mi rimaneva da fare se non quello che sto per fare.

Tu perdonami. Questo puoi farlo e ti prego di farlo. Il tuo Minicuccio.



P.S. Sei ancora giovane e bella. Risposati, ma allontanatevi da questo maledetto paese in cui prevale il grido della civetta, nunzio di sciagure, al fascinoso canto dell’usignolo. Minicuccio."



Negli anni a venire, Luisella rifiutò ogni proposta di matrimonio, e, spesso, fu vista piangere sul margine del pozzo, che ancora oggi, così mi hanno detto, viene ricordato come "Il pozzo di Minicuccio".





Inserito il 10-02-2010





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