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Roberto Marino

Non me ne curo ca...

Lo chiamavano Peppino ma, grande e grosso com'era, sarebbe stato più giusto chiamarlo Peppone. Era nato in campagna ed era cresciuto in campagna. Aveva frequentato saltuariamente la scuola, ma è da credere che anche una maggiore assiduità non lo avrebbe portato oltre lo scrivere il proprio nome con una sola "p".
Stupido? Non proprio. Parlava solo il dialetto, ma nella sua lingua sapeva esprimersi con chiarezza ed efficacia. Non sentiva la mancanza di amici. La sua amica era una gazza che lo seguiva dappertutto, mangiava nel palmo della sua mano, obbediva ai suoi comandi fischiati e a quelli verbali. Allevava in proprio molti conigli e alcune papere che insieme, liberamente, pascolavano in un pezzo di terra lasciato libero proprio per loro.
Così fino ai diciotto anni. Poi eccolo venire sempre più spesso in paese. E non più con i verdi calzoni di frustagno a mezza gamba e il solito giaccone giallastro, forse ereditato dal nonno. Ora indossava un abito grigio, scarpe nuove colore marrone e la domenica mostrava finanche una cravatta a strisce rosse e azzurre. Era un altro Peppino, anche se sempre un pò allampanato e scostante.
Tutte le domeniche era in chiesa per la Santa Messa. I suoi occhi non si posavano sull'officiante, ma su un gruppetto di ragazze che costituivano il coro della parrocchia. Queste non tardarono ad accorgersi del suo guardare e ne ridevano. Ma Peppino non era costante: a volte fissava insistentemente Elisabetta, altre volte Carolina e altre Teresa e cosi via...
Finalmente si decise nella scelta e, attraverso una sua zia, fece sapere a Nicolina la sua intenzione di sposarla. Nicolina si rifiutò con una risata: "Io sposerei quello scemo?"
Quella risposta, che lasciò offesa la zia, non fece recedere Peppino dalla sua intenzione matrimoniale con la vivace, scontrosa, sfottente Carolina. Da allora incominciò, come si usa dire, a perseguitarla: non c'era sera che non passasse e ripassasse sotto la sua finestra e spesso vi si fermava a cantare alla cilentana una canzone d'amore. Nicolina quando lo vedeva, o lo sentiva cantare, chiudeva con forza la finestra. Ma Peppino non mollava. Ed una sera, anzi una notte, eccolo con la sua chitarra intonare una nuova canzone:

Quando nascisti tu, mia Nicolina,
facette festa lo sole e la luna
facette festa Napoli e Messina.
Fusti vattiata mezzo Ro...ma.


Non riuscì a dire per intero dove Nicolina era stata battezzata e da chi, perchè dalla finestra, improvvisamente aperta, fu scaraventato giù l'intero contenuto di un vaso da notte. Peppino non ne fu investito in pieno, ma qualche schizzo, sia solido che liquido, lo raggiunse e con esso l'odore di quel particolare cocktail.
Si arrese? Nemmeno per sogno! Qualche minuto di sconcerto, poi con la voce ancora più limpida:

Non me ne curo che la mmerda fete
che è asciuta da 'ssù culo 'nzuccherato.


Non so se quella zuccherosa lode portò fortuna all'innamorato Peppino.

















Inserito il 21-02-2010





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