Si chiamava Luigi Nicoletti, ma da tutti era conosciuto come Luigi il monaco perché, prima che incontrasse la sua Carmela, era stato monaco di cerca in un vicino convento di francescani.
Piccolo di statura, aggraziato nei gesti, parlava alternando parole pronunciate con chiarezza ad altre bofonchiate, ridotte a suoni incomprensibili. Un modo di parlare contratto dalla recita di giaculatorie religiose? Così si era pensato, ma poi si scoprì che proprio in quei suoni inesplicabili Luigi il monaco esprimeva i suoi giudizi tutt’altro che benevoli verso i suoi interlocutori.
Così quando incontrava uno di quei signori di paese dai quali il "buongiorno" e il "buonasera" erano ritenuti forme di saluto inadeguate alla loro importanza, a distanza si toglieva la coppola e la protendeva lasciando intendere un umile "servo vostro". In effetti la sola parola pronunciata con chiarezza era l’aggettivo "vostro". Se il gesto e le parole fossero state analizzate con attenzione, il saluto di Luigi il monaco sarebbe suonato "Tanto è il vostro". C’è bisogno che spieghi a quale parte del corpo della persona così rispettosamente salutata dava la stessa circonferenza della sua coppola?
Non aveva un mestiere, né proprietà se non una catapecchia di pochi vani portata in dote dalla moglie. Tuttavia non gli mancava il necessario e la figlia, già da marito, faceva invidia e rabbia a più di una ragazza della sua età per il vestito nuovo che sfoggiava quasi ad ogni festa. Sulla sua relativa agiatezza o, meglio, sulla sua non assoluta miseria, si facevano varie congetture: c’era chi pensava che conservasse ancora un saio e che se ne servisse per andare in giro col suo asino a questuare in nome di San Francesco nei paesi più o meno lontani. Altri davano per certo che Luigi il monaco era dotato di virtù magiche capaci di far cessare i dolori di pancia, di fegato, di reni e finanche di denti. Ma la sua virtù più importante era quella di far scendere il latte alle puerpere con l’uso di una misteriosa pomata e ripetuti massaggi. Soprattutto da questa invidiata attività traeva il necessario per la sua famiglia. Si diceva. Come mai non esercitasse queste sue virtù nel paese, in cui viveva da più di vent’anni, rimaneva un mistero. Cattiveria di un monaco spogliato o, come qualcuno insinuava, Luigi il monaco sapeva che non si fanno i propri bisogni davanti alla porta di casa se non se ne vuol sentire la puzza? Vai a saperlo! Di una cosa si poteva essere certi: non mancava di sagacia.
Valga come prova l’episodio di cui si parlava con più spasso. Il maresciallo dei carabinieri si era piccato di disciplinare il traffico che ogni mercoledì si formava sulla strada che portava al mercato. Un traffico di persone, s’intende, perché le cinque-sei automobili della zona e i non numerosi calessi non costituivano un vero problema. Ma la legge "Pedoni a sinistra e veicoli a destra" esisteva e lui, custode della legge, aveva il dovere di farla rispettare. Quindi divieto di procedere a gruppi al centro della strada chiacchierando sui prezzi, sulla siccità che bruciava le campagne o sulla pioggia che rovinava i raccolti, ma tutti in fila sul margine sinistro "come frati minor van per la via". Ma chi andava al mercato con l’asino doveva tenere la destra o la sinistra? L’asino era da considerare un pedone o un veicolo? Questo problema dovette arrovellare piuttosto a lungo il maresciallo il quale alla fine decise che l’asino era un veicolo animato e perciò doveva tenere la destra e che il guidatore doveva condurlo per la cavezza tenuta a non più di ottanta centimetri di distanza se non voleva incorrere nella salata contravvenzione di dieci lire e dieci centesimi.
Si raccontava che un giorno Luigi il monaco era stato fermato dal solerte maresciallo perché, a suo parere, conduceva l’asino ad una distanza superiore a quella stabilita. Il contravventore si difendeva: "Signor Maresciallo, io, per non sbagliare, come vedete ho fatto un nodo alla cavezza giusto agli ottanta centimetri da Voi stabiliti. Ed era qui che tenevo la mano."
"E questi sono ottanta centimetri? Credi che sia cieco? Se insisti ancora ti arresterò per offesa a pubblico ufficiale."
Malgrado questa minaccia, Luigi il monaco continuò ad insistere fino a quando non vide riunito un discreto numero di persone. Solo allora estrasse il metro dalla tasca e: "Misurate voi stesso!"
La distanza della fune dalla testa dell’asino risultò di settantotto centimetri. E nessuno riuscì a decifrare tutte le parole con le quali Luigi il monaco, rispettosamente, salutò lo scornato maresciallo.
Inserito il 21-02-2010